Aquila: Anthony de Mello

“Un giorno un allevatore di polli, appassionato scalatore, mentre si arrampicava su una montagna particolarmente difficile, s’imbatté in una sporgenza. Su quella sporgenza c’era un nido e nel nido c’erano tre grandi uova. Uova di aquila.
L’uomo sapeva di comportarsi in modo antiecologico e forse anche illegale, ma cedette alla tentazione di prendere una delle uova e metterla nel suo zaino, accertandosi, prima, che l’aquila madre non fosse nei paraggi. L’allevatore continuò la sua scalata, alla fine tornò alla fattoria e mise l’uovo nel pollaio.
Quella sera la gallina si sedette su quell’enorme uovo per covarlo: era l’immagine della madre più orgogliosa che si potesse immaginare. E anche il gallo sembrava fiero di sé.
A tempo debito, l’uovo si schiuse e l’aquilotto uscì, si guardò attorno, vide la gallina e disse: “Mamma!”
E fu così che l’aquila crebbe con i suoi fratelli pollastri. Imparò a fare tutto ciò che fanno i polli: chiocciare e schiamazzare, grattare per terra alla ricerca di vermi, agitare le ali furiosamente e volare a poche spanne d’altezza prima di ricadere, a terra, in una nuvola di polvere e piume. L’aquilotto era assolutamente sicuro di essere un pollo.
Un giorno, quando era ormai anziana, l’aquila-che-credeva-di-essere-un-pollo guardò il cielo. Lassù, in alto tra le correnti, volava maestosa, senza sforzo e senza quasi muovere le ali, un’aquila.
“Cos’è quella?” chiese stupita la vecchia aquila. “È magnifica. Quanta potenza e quanta grazia! È poesia in movimento.”
“Quella è un’aquila” disse un pollo. “È il re degli uccelli. È un uccello dei cieli, noi siamo solo polli, uccelli di terra”.
E fu così che l’aquila visse e morì da pollo; perché questo era ciò che credeva di essere.”

Fonte: Anthony de Mello, da “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”.